Quando l’animo è pellegrino e l’orgoglio un naufrago, é difficile trovare un amico in carne ed ossa che sia capace di restarti accanto.
Un amico in carne ed ossa che, per quanto si sforzi di scegliere con cura gli argomenti di cui parlare, non riuscirà a non lasciarsi sfuggire una di quelle parole che non dovrebbero mai essere pronunciate davanti ad un sopravvissuto.
È un'impresa eroica restare accanto a un sopravvissuto; si deve imparare da zero un nuovo alfabeto, un nuovo codice di comunicazione da cui vanno estirpate parole, immagini, intonazioni della voce, sguardi, gesti, impulsi: ci si deve addestrare a parlare un linguaggio monco.
Un uomo in carne e ossa, per quanto solidale, ha poche possibilità di farcela.
E comunque, qualunque amico alle tre di notte - fisiologicamente - sbadiglia davanti al tuo dolore.
Un amico, per quanto solidale e bendisposto, non può assorbire all'infinito la tua frustrazione.
Bisogna che presto o tardi il tuo dolore si acquieti, si faccia un poco più sopportabile.
Ma l'esilio è uno stato patologico permanente, per questo non è facile trovare un amico nell'esilio.
Ci vorrebbe un vinto come te, uno che trovandosi nella tua stessa condizione non faccia da specchio alla tua sconfitta.
Ci vuole uno che per giunta sia un vinto, ma che, a differenza di te, stia ancora in piedi, così da poterti camminare un poco avanti a fare un po' di luce con la sua lanterna.
Uno che abbia conosciuto la tua stessa sorte, le tue stesse piaghe, uno che sappia di cosa si stia parlando e di quale malattia tu stia agonizzando, senza bisogno che tu rinnovi l’umiliazione nello spiegargliela.
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Se sappiamo, è anche grazie a te.
Se siamo anche un minimo persone migliori oggi, è anche grazie a te.
Ti vogliamo bene Robè.
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